Esperienza missionaria in Tanzania - Hakuna Matata

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Esperienza missionaria in Tanzania
“Senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri”

“Senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri”, questa affermazione di Madre Teresa di Calcutta se è vera per qualsiasi cristiano, lo è ancor di più per chi intraprende un’esperienza missionaria per la quale è indispensabile la preghiera prima, durante e dopo la missione.

Ho voluto citare Madre Teresa perché insieme a S. Teresa di Lisieux, patrona delle missioni, sono state due luci che mi hanno accompagnato durante tutto il viaggio in Tanzania.

L’esperienza in Africa l’ho condivisa con tre compagni di viaggio: Don Dario Russo, Don Antonino Di Chiara e Ninfa Capizzi che, anche se in modo diverso, mi hanno dato una bella testimonianza di fede e di vicinanza ai poveri.

Dopo 10 ore di aereo e 12 ore di viaggio in jeep, durante il quale abbiamo attraversato villaggi tipici, in un miscuglio di colori e di bellezze naturali, siamo arrivati a Kitanewa, dove sorge la Missione. Lì, ci ha accolti con gioia Don Salvatore Ricceri, un sacerdote fideidonum della diocesi di Catania che, da sei anni, vive ed opera in quella parrocchia. Il 21 luglio, accompagnati dal parroco nel villaggio di Tungamalenga, abbiamo visitato un asilo ancora in costruzione, finanziato dall’Associazione Hakuna Matata onlus, e lì, essendo domenica, abbiamo celebrato l’Eucarestia. Ciò che mi ha subito colpito durante la celebrazione è stata l’attenzione, con cui tutti i fedeli partecipavano e la gioia manifestata anche con canti e danze intorno all’altare. Il momento più toccante è stato dopo la celebrazione, quando Don Dario ha portato la Comunione ad un’anziana donna che non poteva camminare; dopo essersi confessata, con ossequio e devozione ha ricevuto l’Eucaristia come un dono prezioso.

Dal 22 al 27 luglio ci siamo dedicati ad imbiancare un asilo, anch’esso finanziato dai benefattori dell’associazione Hakuna Matata, che si trova nel villaggio di Mauninga, ad un’ora di strada dalla missione che ci ospitava. Lì abbiamo conosciuto tanti bambini che chiedevano spesso le “pipi”, ossia le caramelle, e noi tra una pennellata e l’altra, li accontentavamo donandogliele. Dal 1° al 4 agosto siamo stati nella Missione di Migoli, distante tre ore di jeep da Kitanewa. Stando lì abbiamo conosciuto il parroco Don Julius Masenya, con lui abbiamo visitato l’orfanotrofio e il piccolo ospedale, gestiti dalle Suore Collegine della la sacra Famiglia e anche la scuola di cucito fornita di macchine da cucire offerte dalla nostra Diocesi. Infine abbiamo visitato una famiglia Masai, conosciuta da Don Dario e da Ninfa. In Tanzania, come in tutta l’Africa, vivono diverse tribù, tra le quali quella dei Masai, caratterizzati da un portamento elegante e da un abbigliamento semplice da guerrieri. In quei giorni due momenti sono stati per me irripetibili: l’aver ammirato il tramonto dal lago artificiale di Migoli ed il cielo stellato.

Ritornati a Kitanewa abbiamo vissuto due giornate stupende. La prima, domenica 7 agosto che ci ha visti parte di una Celebrazione Eucaristica nella quale, oltre a battesimi, comunioni e cresime, sono stai celebrati anche ben 40 matrimoni. Un giorno pieno di gioia, canti, colori e anche giochi.

L’altra, l’8 agosto, ci ha visti impegnati in una escursione al Parco Naturale Nazionale del Ruaha, tra elefanti, giraffe e leoni.

Durante tutto il mese abbiamo incontrato tanti bambini felici e gioiosi, ma nel cuore me ne sono rimasti due, Jimmy e Franky, che mi hanno fatto toccare con mano la tenerezza di Dio. Jimmy è un bambino paraplegico che si trascina per terra: grazie alla sua tenerezza un benefattore ha voluto finanziare la costruzione della chiesa parrocchiale e di un asilo, perché quelle esistenti si trovano lontani dai villaggi. Entrando nella chiesa della nuova parrocchia sul muro dietro l’altare erano raffigurati Madre Teresa di Calcutta che abbracciava Jimmy. Questo affresco mi ha fatto ricordare che il Signore manifesta la sua provvidenza e la sua presenza attraverso i poveri, gli ammalati, coloro che vengono scartati dalla società. Franky, non può mettersi più in piedi, perché si è rotto il bacino cadendo da un albero, ma a causa della sua immobilità ha imparato a suonare il clarinetto, donato da un benefattore che ha visitato la missione. La musica incide moltissimo nella vita degli africani perché è una terapia che migliora la loro vita e che gli consente di elevare la lode a Dio. Di Franky mi è rimasta impressa la sua capacità di non arrendersi di fronte alla malattia ma soprattutto il suo sguardo dolce e gioioso nel quale ho percepito e la tenerezza di Dio.

Concludo con le parole di Papa Francesco nell’udienza del 2 gennaio scorso: ““.
Marco Tortomasi
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