Un'infermiera ed un'ostetrica in missione - Hakuna Matata

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Un'infermiera ed un'ostetrica in missione

Tante sono ogni anno le persone che decidono di partire per andare in Africa tutte spinte da una motivazione sicuramente valida e profonda e quando questa è l’amore per l’altro si riesce ad apprezzare qualsiasi situazione, o cosa nuova, che ancora non si conosce. Anche se sono diverse quelle tra noi, me Marianna l’infermiera ed Eleonora l’ostetrica il destino ha voluto che ci incontrassimo proprio in terra di missione. Dopo un’accoglienza calorosa fatta di canti, balli ed abbracci come se ci conoscessimo da tanto tempo abbiamo appreso la notizia di poter svolgere le nostre mansioni di infermiera ed ostetrica. Allora a quel punto ho chiesto al Sacerdote: “Ma qui vicino c’è un ospedale?”. Lui mi ha risposto cosi: “Vedi cara, i missionari sono presenti proprio dove c’è maggiore bisogno, dove non c’è nessuno e dove le difficoltà della popolazione locale sono estreme”. La situazione socio sanitaria sarebbe drammatica se non ci fossero i “Dispensari” (una sorta di ambulatorio di primo soccorso, un centro per i parti e una farmacia) e grazie alla volontà di chi aiuta senza un secondo fine è stato possibile costruirne uno nel villaggio vicino. Ed è cosi che comincia la nostra avventura. Ogni mattina dopo aver fatto colazione e aver sistemato l’occorrente nello zaino percorrevamo circa un ora di strada a piedi, attraversavamo il villaggio, che con i suoi abitanti ci dava il buongiorno e ci augurava buon lavoro ed eravamo così immersi nella natura che, anche le galline, libere di scorazzare sembravano salutarci. Quando arrivavamo al dispensario eravamo accolte sempre come se fosse il primo giorno! Il personale composto principalmente dalla Dottoressa e dall’Infermiera si occupava di tutto e veramente facevano del loro meglio nonostante la povertà di quel luogo. Vi erano due strutture composte entrambe da poche stanze. Nella prima avvenivano le visite generali di routine, le vaccinazioni e gli interventi di primo soccorso. L’altro piccolo edificio era adibito invece per assistere “le maternità”: in una stanza avvenivano le visite per le future mamme, nell’altra invece avvenivano i parti e le degenze post partum. Queste strutture sono molto distanti dalle nostre realtà, non c’è luce ne acqua corrente, spesso mancano i farmaci e il materiale per poter suturare qualche ferita. Non c’è neanche lo sterilizzatore dei ferri chirurgici, che vengono disinfettati con antisettici in dei bidoni di plastica, ma possiamo dire che una cosa avevano che nei nostri ospedali si sta perdendo: l’umanità fraterna! La dottoressa e l’infermiera infatti vivono accanto al dispensario ed erano sempre disponibili a qualsiasi ora. Nel dispensario si accettavano tutti, soprattutto chi non si poteva permettere di pagare dato che questi ultimi rappresentavano la maggioranza. Veniva gente di tutte l’età, dai bambini di 7 anni agli adulti ed anziani che non sapevano neanche la loro età! C’era un grosso registro dove si scriveva tutto: nome, cognome, diagnosi e terapia. Ogni paziente portava un quadernino “l’exercise book”, comprato nella bancarella del paese, nel quale la dottoressa scriveva tutto: data, sintomi diagnosi e terapia. Dopodichè i pazienti passavano dall’infermiera a ritirare i farmaci prescritti anche se purtroppo non sempre erano presenti e quindi non era possibile darglieli, anche perché non si poteva stimare mai il tempo esatto in cui sarebbero arrivate le scorte. E allora via… i “malati” si rimettevano subito in marcia per tornare nel loro villaggio, ripercorrendo tanti kilometri, anche senza la cura necessaria per guarire! Molti sono ancora gli ostacoli e le difficoltà che devono affrontare questi piccoli dispensari per riuscire a garantire un servizio adeguato alla comunità, ma un aspetto molto importante da sottolineare e che gli europei che arrivano in missione non hanno il solo intento di aiutare, ma arrivano li anche per formare, studiare insieme a loro le principali patologie presenti nella zona e capire quali possono essere le principali cure o precauzioni da adottare, tenendo sempre conto delle risorse disponibili. La notizia positiva è che da qualche anno gli africani hanno realmente capito l’importanza dell’informazione e dello studio e questo deve diventare il motore per un maggiore sviluppo. Moltissimi sono i punti che potrebbero essere approfonditi sulla sanità africana, ma la verità è che quando arrivi in questo posto esso ti coinvolge fino in fondo per la sua semplicità, per il calore delle persone, per i meravigliosi tramonti e per l’intensità con cui si vivono piccoli gesti che ormai nella nostra società non riusciamo più ad apprezzare. Per tali ragioni ti innamori di questo continente e a tal proposito mi viene in mente una frase che mi ha regalato una mia amica poco prima di partire: “L’Africa si tiene sempre un pezzo di te e dicono che se ci torni te lo restituisce”. Solo dopo aver vissuto questa esperienza ho compreso fino in fondo il vero significato, anche se non credo che la voglia di tornare potrà finire, piuttosto penso che potrà solo aumentare!

Marianna Altamonte

Selmi Eleonora
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